24/8/2007 - PRIMARIE
BARBARA PALOMBELLI
Caro direttore,
confidando in una bella giornata d'autunno, il 14 ottobre prossimo, giorno in cui nascerà il Partito democratico, andrò al mare. Fino a un minuto prima, cercherò di convincere figli, amici dei figli, ragazzi e ragazze, a partecipare al voto.
Non andrò perché non vorrei che il partito nuovo/nuovo partito fosse un neonato con i capelli bianchi o tinti. Non andrò perché se tutti quelli che andranno avranno - come me - più di cinquant'anni, l'Italia resterà bloccata, ferma, immobile.
Se gli iscritti al Pd somigliassero o coincidessero con la platea dei dibattiti delle feste dell'Unità o della Margherita (dove spesso sono la più giovane), ci ritroveremmo con un movimento in cui tutti hanno qualcosa da difendere, dalla pensione alla licenza del taxi, dal negozietto alla piccola rendita.
Risultato: nessuna voglia di rimescolare le carte, i ruoli, i diritti che la nostra generazione ha conquistato ma che forse non sono più adatti al terzo millennio.
Serve un nuovo Sessantotto
Se gli ultracinquantenni prendessero la maggioranza, sarebbe un dramma: noi abbiamo la passione per gli anniversari, celebriamo quotidianamente - ormai - i morti di tutte le ideologie, costruiamo e veneriamo Pantheon di intellettuali che nessuno dei giovani ha mai letto neppure a scuola...
Massimo D'Alema, qualche tempo fa, in un'intervista a Gente, ha giustamente evocato «un nuovo '68», sollecitando i ventenni e i trentenni a battersi per le loro rivendicazioni. Assenti e passivi, chiusi in una personale ricerca di lavoro che sempre più spesso viene affidata ai genitori e non alle associazioni sindacali, i nostri figli si chiamano fuori da tutto.
È il problema principale della politica contemporanea: si legifera nell'apparente indifferenza di coloro che quelle leggi e quelle scelte dovranno accettarle, subirle e rispettarle.
La partita? Stavolta giochiamola in panchina
Se il regolamento del nuovo Pd vietasse - come provocazione - l'iscrizione ai maggiori di cinquant'anni, scopriremmo quali passioni, quali ideali, quali stili di vita stanno a cuore a chi verrà dopo di noi.
Avrebbe un senso l'idea bizzarra di costruire un partito spalancando le porte a chiunque, come in un ipermercato: paghi 5 euro e compri due, una tessera e un diritto di voto. Se giocassimo questa partita in panchina, i nostri suggerimenti e i nostri consigli diventerebbero preziosi, indispensabili.
Se invece volessimo occupare tutti i ruoli, la moltiplicazione delle caste si scontrerebbe in modo irreversibile con l'onda dell'antipolitica. Altro che nuovo Sessantotto...
I nuovi iscritti li troveremo nei call-center
Ciascuna generazione ha il diritto/dovere di impegnarsi: era lo slogan che usavamo contro i «matusa» quando eravamo giovani. Volevamo le nostre musiche, i nostri capelli, le nostre minigonne, ma anche una nuova famiglia e nuovi diritti nel mondo del lavoro, della sanità e della previdenza. Abbiamo combattuto e vinto, con errori e dietrofront clamorosi.
Adesso saremmo molto più audaci scegliendo di fare un passo indietro (i nostri genitori capirono, consigliarono, soffrirono, ma ci lasciarono spazio) che non affollando i banchetti del 14 ottobre. Saremmo all'altezza del nostro passato migliore se promuovessimo il Pd nelle università , nei call-center, nei luoghi del precariato industriale e commerciale, invece che nelle fumose discussioni di noi eterni reduci.