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Feeling rosso-nero
Voci dal palazzo
A cura di Maria Teresa Meli
Sarebbe una definizione assai banale per due come loro. Si chiamano Flavia Perina e Paola Concia.
La prima dirige il Secolo, il quotidiano di Alleanza nazionale.
È una deputata del Pdl di rito non berlusconiano bensì finiano, nel senso che condivide la linea un po’ eterodossa del presidente della Camera.
E infatti non è per niente bacchettona quando si tratta di affrontare i temi etici e si sta battendo come una leonessa per dare la cittadinanza agli immigrati che vivono e lavorano in Italia.
La seconda è una deputata del Partito Democratico, gay dichiarata, fidanzata con una criminologa di Francoforte. Le due si sono conosciute in una di quelle noiosissime giornate in cui la Camera si trasforma in un votificio (e i deputati la maggior parte delle volte non sanno neanche cosa bocciano e cosa approvano).
La fase di iniziale diffidenza - Concia viene dal Pci, Perina aveva mamma e papà che militavano in Ordine Nuovo con Pino Rauti - è durata niente.
Così, tra una chiacchiera su uno dei divanetti di Montecitorio e un caffè al bar della Camera, è nato un certo feeling. Le due deputate hanno deciso che, perché no, ogni tanto potevano fare politica insieme, pur provenendo da fronti opposti. È finita che ora vanno in giro per le scuole a organizzare dibattiti con gli studenti. E a spiegar loro come e perché la violenza sulle donne sia una cosa aberrante.
O a raccontare che le minoranze non vanno tenute ai margini. Adesso che sono diventate amiche, e si frequentano anche al di là del lavoro, meditano di scrivere un libro a quattro mani. Una stranezza, comunque, in questo rapporto c’è.
Le donne politiche sono in eterna e tediosa concorrenza tra di loro. E se appartengono allo stesso partito la cosa non cambia. Sono quasi (?) peggio degli uomini quando si tratta di darsi metaforiche gomitate alla bocca dello stomaco o di farsi altrettanto metaforici sgambetti.
Paola e Flavia invece sono diverse. Ogni volta che Gianfranco Fini le incontra a Montecitorio un brivido gli percorre la schiena: «E adesso quale causa mi chiederanno di appoggiare?». Ma alla fine il presidente della Camera cede sempre.
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