Il discorso di Elie Wiesel alla Camera dei Deputati in occasione della Giornata della Memoria

Il discorso di Elie Wiesel alla Camera dei Deputati in occasione della Giornata della Memoria

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Signor Presidente della Repubblica italiana, onorevoli Presidenti della Camera e del Senato, signor Presidente del Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi, ono- revoli deputati e senatori, signor presidente della Corte costi- tuzionale, sopravvissuti, membri delle comunità ebraiche, come non dirvi della mia grande emozione nell’essere qui.
Mia moglie Marion ed io, Presidente Fini, le siamo pro- fondamente grati del calore dell’accoglienza e della sincerità delle sue parole. Ci congratuliamo con l’Italia perché abbiamo partecipato a tante cerimonie, abbiamo visitato tanti Paesi dove viene celebrata la memoria, e posso dirvi che questo Paese costituisce un modello perché la commemorazione in Italia abbraccia tutte le sfere della società.
Abbiamo assistito oggi ad una cerimonia in cui il Presidente della Repubblica Napolitano ha consegnato dei premi ad alcuni studenti, a dei bambini e quando vedi i bambini ovviamente non puoi che sorridere e ti senti anche profon- damente coinvolto.
Ieri abbiamo visto l’inaugurazione della mostra sull’Olo- causto e quindi vogliamo ringraziarvi perché tutti noi siamo impegnati per ricordare. Siamo qui per ricordare e allora ricordiamo insieme quest’epoca della storia che ha avvolto nelle tenebre la speranza dell’uomo. Un’epoca in cui gli assassini hanno tormentato, torturato, isolato, affamato e ucciso sei milioni di uomini, donne e bambini non per qualcosa che avevano fatto, o detto, o scritto, o posseduto, ma semplicemente perché erano i discendenti di un popolo antico, l’unico popolo dell’antichità che sia sopravvissuto all’antichità.
Dove inizia la memoria ? Per l’ebreo che sono, parlare qui infonde un profondo senso di riflessione, di gratitudine e di rispetto perché Roma per noi occupa un luogo speciale. Gerusalemme e Roma hanno memorie che si intrecciano: i saggi della Giudea venivano a Roma per perorare, di fronte agli imperatori romani, la causa del loro popolo ed oggi io, che sono uno dei loro eredi e discepoli, sono qui di fronte a voi, leader di questa nazione straordinaria. Io, il numero A-7713, sono qui a portarvi un messaggio su avvenimenti accaduti duemila anni più tardi.
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Proprio in questi giorni, sessantacinque anni fa, mio padre Shlomo, figlio di Nissel e Eliezer Wiesel, numero A-7712, moriva di inedia e malattia nel campo di sterminio di Buchenwald. C’erano italiani a Buchenwald ? Non ricordo, ma ad Auschwitz ce n’erano. Ricordo un certo Luigi, timido, gentile, introverso, non parlava né il tedesco, né lo yiddish, e senz’altro non parlava il polacco, sembrava più perso di altri.
Ho incrociato forse Primo Levi che poi è diventato mio amico, come lei Presidente Fini ha detto ? Ad un certo punto siamo stati assegnati alla stessa baracca, ma non era presente nella marcia della morte verso i vagoni che ci hanno portato a Buchenwald; è rimasto in ospedale.
Buchenwald, ricordo la notte in cui siamo arrivati. Molti erano morti per strada, ricordo i vagoni aperti sul treno, ricordo la tormenta di neve, molti sono morti, ma alcuni con le loro ultime forze gridavano «Shma Israel.., Hashem hu haelokim »: ascolta Israele, Dio è il nostro Dio !
Dio, lì? Io ero uno studente devoto e non ho potuto reprimere il desiderio di unirmi agli altri in questo appello ai cieli.
Sinceramente non posso spiegare perché.
Ricordiamo: nel 1945 la Germania praticamente aveva già perso la guerra contro gli alleati. L’ultima grande battaglia nelle Ardenne è finita con la sconfitta tedesca e, ciononostante, la guerra di Hitler contro il popolo ebraico è continuata senza sosta. I sei campi di sterminio in Polonia erano stati liberati, ma non i campi in Germania e in Austria. Gli ebrei erano ancora oggetto di distruzione, ma perché ? Levi dice che ad Auschwitz non c’era luce.
Mi hanno chiesto in un’intervista: quando andrà in cielo, quali saranno le parole che dirà a Dio? Io dirò un’unica parola: perché ? Questa domanda non dobbiamo farla soltanto a Dio creatore, ma anche alle creature: perché Hitler e i suoi accoliti, nati nel cuore del cristianesimo, hanno fatto quello che hanno fatto ? Perché volevano ad ogni costo distruggere l’ultimo ebreo sul pianeta? Oggi, riuniti per ricordare quel fatto, quell’avvenimento, che non ha precedenti nella storia, ci si potrebbe chiedere: ma perché la memoria ? Perché riaprire vecchie ferite ? Perché infliggere un tale dolore ai giovani ? Per i morti è troppo tardi. Sì, ciò che è stato fatto non può essere
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annullato, neanche Dio può annullare ciò che è stato fatto. Tanta paura, dolore e tormento non possono essere dimenti- cati. Ma possono essere veramente ricordati ? In che modo ? In che modo possiamo aprire i nostri cuori e le nostre anime al ricordo e, ancora, conoscere la speranza ?
Oggi dovremmo dedicare la giornata non solo al ricordo, ma anche alla riflessione e alla presa di coscienza. In che modo la storia giudicherà il comportamento del mondo ? In che modo la storia giudicherà il comportamento dell’Italia ? Sì, ci sono state persone coraggiose e nobili in Italia e altrove che hanno cercato di aiutare gli ebrei. Alcuni ci sono riusciti e meritano la nostra profonda gratitudine. Mia moglie Marion e la sua famiglia sono state salvate da una giovane coppia italiana a Marsiglia: oggi è il compleanno di mia moglie e lei è qui con noi. Quindi, io devo lei e la mia felicità ad alcuni italiani a Marsiglia. Ma quanti hanno corso il rischio ? Quanti hanno aperto la propria casa ad un bambino ebreo, ad una famiglia ebrea, ad un ebreo che aveva di fronte la prigione e la deportazione ? A qualsiasi livello della politica e al più alto livello della spiritualità, il silenzio non aiuta mai la vittima: il silenzio aiuta sempre l’aggressore.
Per molti di noi Auschwitz resta un nodo spartiacque nella storia: c’è un prima e un dopo. Mai prima di allora tanti bambini e tante famiglie sono stati uccisi da tanti uomini, uomini spesso istruiti, colti, che continuavano a manifestare la loro ammirazione per Goethe, Schiller, Bach, Beethoven, Hegel e Dante. Ma che ne fu della loro umanità ? Erano disumani ? Forse sarebbe un’ipotesi troppo semplicistica. Cosa ha provo- cato quella metamorfosi ? Negli anni io ho letto ogni libro su quell’epoca, in ogni lingua che conosco, cercando di capire gli assassini.
In che modo il male ha potuto raggiungere una tale profondità e una tale portata ?
Non sono in grado di spiegare neanche la passività di chi è rimasto a guardare a tutti i livelli. Non era così difficile salvare una vita umana. Non sarebbe stato così difficile, all’inizio del 1944, bombardare i binari che portavano ad Auschwitz, ma per motivi inspiegabili e ingiustificabili quei binari non sono stati bombardati. Perché ?
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Ho rivolto questa domanda a diversi Presidenti americani: nessuno mi ha dato una risposta valida. Anzi, avevo paura della loro risposta. Forse perché allora le vittime che avreb- bero potuto essere salvate erano ebrei, ebrei ungheresi ?
Non è facile neanche capire le vittime. Come mai tanti sono riusciti ad aggrapparsi alla loro fede nel buio del ghetto e nell’orrore dei campi ? Dove hanno trovato la forza di rico- struire la loro vita sulle rovine del loro passato ? Nelle sue memorie di Treblinka, un superstite, Yankel Wiernik ha scritto: sarò mai capace di ridere ancora ?
A Birkenau, Zalmen Gradowski, membro del Sonderkom- mando si chiede: sarò mai in grado di piangere ancora ?
Eppure i sopravvissuti in Italia, in Francia, in America, in Israele dopo la guerra sono riusciti ad elaborare il lutto e la rabbia e a creare uno Stato ebraico nella terra degli avi. Solo tre anni intercorrono tra Auschwitz e la rinascita di Gerusa- lemme e dello Stato sovrano ebraico.
In che modo le vittime di ieri sono riuscite a realizzare tutto ciò nel nome dell’umanità? Forse qualcuno ha la risposta, io non ce l’ho. Ma forse, ricordando i morti, diamo un insegnamento di vitale importanza ai vivi, un insegnamento sulla vita e la morte, la luce e le tenebre, la crudeltà e la compassione. Insegniamo a chi vuole ascoltare che quello che accade ad una comunità riguarda tutti e che nessun essere umano è solo nel mondo di Dio, ma che solo Dio è solo. Non dobbiamo permettere che nessuna vittima del destino, o prigioniero della società – mai dobbiamo consentirlo – si senta solo, respinto, abbandonato, rifiutato.
La storia oggi vive grandi sconvolgimenti; la nostra gene- razione è segnata dal disorientamento e dalla sfiducia. I giovani abbracciano il fanatismo religioso che a volte porta anche a missioni suicide. Gli attentati suicidi sono assassinii, omicidi e debbono essere condannati come crimini contro l’umanità ed io rivolgo un appello a lei, Presidente Fini, e a lei, Primo Ministro Berlusconi, potreste essere i primi nel mondo ad introdurre un disegno di legge che designi l’attentato suicida come crimine contro l’umanità.
Questo non fermerebbe le mani degli assassini, ma po- trebbe fermare i complici. Chi insegnerà ai giovani – che noi
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dobbiamo educare – il diritto di tutti i bambini a vivere una vita sicura se non noi che abbiamo visto la parte peggiore dell’uomo ?
Io so che alcuni sopravvissuti sono preoccupati: cosa succederà quando l’ultimo di noi non ci sarà più ? Io non sono tanto preoccupato. Non sono tanto preoccupato perché credo che chiunque ascolti un testimone diventa un testimone e quindi, parlamentari, diventate nostri testimoni, leader del- l’Italia, diventate nostri testimoni.
Debbo confessare, però, che nutro anche una certa fru- strazione. I testimoni hanno parlato e poco o niente è cambiato nel mondo. Il mondo si è rifiutato di sentire, di ascoltare, si è rifiutato di imparare, altrimenti come possiamo comprendere la Cambogia, il Ruanda, la Bosnia, il Darfur, come possiamo comprendere l’antisemitismo oggi? Se Au- schwitz non ha guarito il mondo dall’antisemitismo, cosa potrà farlo ? Io parlo dell’antisemitismo.
Come si può trattare con il Presidente di una nazione, Ahmadinejad, che è il primo a negare l’Olocausto e che vuole distruggere uno Stato membro delle Nazioni Unite? Come osa ? Io ho visitato tanti Paesi del mondo e ho un’idea, forse non realizzabile. Dovrebbe essere arrestato e tradotto di fronte alla Corte dell’Aia e accusato di incitamento a crimini contro l’umanità.
La paura esiste ancora, le guerre civili, la fame. Milioni di bambini muoiono di malattia, di fame e di violenza. Il Medio Oriente è in grande tumulto: la pace tra Israele ed i vicini palestinesi è ancora un sogno, ma un giorno arriverà, crede- temi, amici; se Israele ha potuto stringere la pace con la Germania, senz’altro sarà in grado di farlo con i suoi vicini. Creiamo un’occasione e mandiamo un appello a coloro che tengono in prigione Shalit: voi avete la credibilità per farlo. Quest’uomo da tre anni vive imprigionato e però c’è la speranza, la speranza deve esserci.
Guardiamo l’Europa: l’Europa è diventata un simbolo della solidarietà internazionale. La Germania e la Francia erano da sempre nemici, si uccidevano per pochi chilometri di territo- rio, ma oggi sono convinto che tra questi due Paesi non ci sarà mai più la guerra, o tra l’Italia e la Francia non ci sarà mai più la guerra.
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Cosa abbiamo quindi imparato dal passato? Abbiamo imparato che il razzismo è stupido e che l’antisemitismo è un’infamia. Abbiamo imparato che la nostra umanità è definita dal nostro atteggiamento verso l’alterità dell’altro, che abbiamo una chiara scelta tra cadere nella provocazione del nemico e il nostro dovere morale nei confronti gli uni degli altri, la scelta tra il nichilismo e il senso, il significato, tra la paura e la speranza. Questa scelta appartiene a ciascuno di noi.
Per concludere, siamo profondamente grati a voi tutti e profondamente commossi – non sono neanche in grado di dirlo – per questa giornata. Io ho sempre creduto che la vita non è fatta di anni, ma di singoli momenti e questo momento conterà nelle nostre vite. Quindi noi non viviamo nel passato, ma il passato vive nel presente, ed il nostro dovere rimane quello di umanizzare il destino, il mio e il vostro destino. Ricordiamo: qualsiasi cosa noi facciamo, qualsiasi cosa noi diciamo, qualsiasi siano i nostri obiettivi, non dobbiamo consentire che il nostro passato diventi il futuro dei nostri figli.

Paola Concia

Paola Concia

Abruzzese di nascita, mi sono laureata presso La Facoltà di Scienze Motorie de L'Aquila. Il mio impegno in politica ha avuto inizio negli anni ottanta nel Partito Comunista Italiano, poi nei Democratici di Sinistra e in seguito nel Pd, di cui attualmente sono membro della Direzione Nazionale.

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