di Claudia Mancina
Non si placano le polemiche su Rachida Dati, la ministra francese della giustizia, comparsa al consiglio dei ministri solo cinque giorni dopo il parto. Accusata di tutto: di inadeguatezza materna, di presenzialismo eccessivo, di bieco attaccamento al potere, e infine anche di nuocere alle donne, perché con il suo precoce ritorno al lavoro metterebbe in discussione il congedo di maternità ! Perfino l’unica che si è messa fuori dal coro, Ségolène Royal, lo ha fatto più per attaccare Sarkozy che per difendere lei. E gli stessi media che poche settimane fa osannavano Sarah Palin perché riuniva in sé le caratteristiche della mamma e della politica, hanno tirato la croce addosso a una donna che sta tentando di fare proprio la stessa cosa.
Troppo zelo, veramente. I ruoli di grande potere, come quello di ministro o di manager, sono ruoli privilegiati ma insieme anche caratterizzati da un servizio illimitato: richiedono la disponibilità piena del proprio tempo, al di là di qualunque regola amministrativa o sindacale. Nessuno ha mai rimproverato a un ministro (maschio) di svalutare il diritto dei lavoratori al riposo se lavora la domenica o durante le vacanze, come spesso avviene. Solo una contenuta ammirazione ha accolto i non pochi ministri (maschi) che sono tornati al lavoro dopo poche ore da un non grave intervento chirurgico. Ma la partecipazione della Dati al consiglio dei ministri scandalizza, perché viene letta come una sottrazione al comune destino delle donne, che si presume segnato dalla debolezza.
Forse la vera colpa di Rachida Dati è di essere bella, elegante, e di aver allegramente partorito una figlia senza dichiararne il padre. Sarah Palin era più rassicurante, perché comunque le sue attività erano svolte sotto l’egida protettiva del marito e nell’ambito di una visione ipertradizionalista della famiglia. La ministra francese, così cone quella spagnola, che qualche mese fa scandalizzò andando a visitare le truppe col pancione, e oggi si è attirata nuove critiche perché si è rifiutata di andare a una cerimonia delle forze armate in abito lungo, trasmette un’immagine di donna forte che non trae la sua forza dalla maternità , ma nello stesso tempo non rinuncia alla maternità . Forse è proprio questo il punto. Come la governatrice dell’Alaska, le due ministre tengono insieme il ruolo di donna in carriera con quello di madre, ma li articolano in modo molto diverso da lei. In questo caso la maternità non è fonte di identità sociale, ma un elemento, per quanto importante, della costruzione della propria vita. Costruire la propria vita è proprio ciò che non si perdona alle donne, soprattutto quando raggiungono livelli alti. Ma l’assurdo è che sono le stesse donne a non perdonarlo alle loro simili.
Accade così che nella critica alla Dati, come ieri nella critica a Carmen Chacon, convergano due motivazioni molto diverse. Da un lato c’è il tradizionalismo ottuso di chi a fatica sopporta di vedere una donna nei luoghi e con i simboli del potere, e quindi è turbato dal fatto che questa donna, invece di rimuovere, nascondere, o meglio ancora sopprimere, la sua fisicità femminile, la esibisca tranquillamente: riassumendo il suo ruolo pubblico subito dopo il parto, e addirittura con i tacchi a spillo!, Rachida Dati ha fatto uno sberleffo a quanti vedono nella gravidanza e nel parto eventi limitanti, un doveroso handicap per le carriere femminili. Ha detto: io sono qui, e non mi metterete da parte perché sono una debole donna. Dall’altro lato c’è il bigottismo femminista-socialista, che in nome di un pensiero ortodosso e di un perbenismo egualitarista non perdona a una donna di sottrarsi all’aura vittimista che si presume propria della condizione femminile. In realtà non le perdona di essere una donna forte, indipendente, e di non voler pagare tutto questo col sacrificio del suo normale desiderio di maternità . Anche a questo bigottismo Rachida ha fatto uno sberleffo, mostrandosi come una donna che non ha bisogno delle (preziose) tutele previste per le donne. Ha detto: le tutele sono una difesa e un’opportunità , non un vincolo. Pensarle come un vincolo, anche nel caso di lavori “speciali†come quello di ministro, significa umiliare l’ambizione femminile.
Non sappiamo se le due ministre saranno delle buone madri. Speriamo di sì, per il bene dei loro piccoli, ma non è una cosa rilevante per il giudizio da dare di loro come ministre (del resto è ben noto che non basta stare a casa con i figli per essere buone madri). Intanto la loro presenza lì, sul palcoscenico del potere, con il loro corpo di donne e di madri è un vero evento simbolico, con buona pace dei bigotti e delle bigotte di destra e di sinistra.